Trib. Venezia, sent. 28 agosto 2025, n. 391

Autorità:
Tribunale

Data:
28 agosto 2025

Numero:
391

Regione:
Veneto

Con la sentenza n. 391 del 28 agosto 2025, il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso di un lavoratore con grave disabilità, dipendente di un minimarket di Chioggia, licenziato nell’aprile 2024. All’uomo era stato contestato l’illegittimo utilizzo dei permessi giornalieri previsti dall’art. 33, comma 6, della legge n. 104 del 1992: durante le ore di permesso – secondo quanto accertato da un’agenzia investigativa cui si era rivolto il datore – il lavoratore in permesso avrebbe svolto attività lavorativa presso un’agenzia assicurativa. 

Nella sua ricostruzione, il Tribunale ha evidenziato alcuni aspetti generali, ricordando, innanzitutto, che le agevolazioni riconosciute dalla legge n. 104 del 1992 sono finalizzate a garantire la piena inclusione della persona con disabilità, sia nell’ambito lavorativo sia nel contesto sociale di riferimento. Qualora il beneficiario dei permessi sia lo stesso lavoratore con disabilità, dunque, tali istituti assumono una funzione peculiare, configurandosi come strumenti volti ad assicurare un equilibrato contemperamento tra l’attività lavorativa, le esigenze di salute e la dimensione familiare e relazionale. Per tale ragione il legislatore ha previsto una tutela più ampia rispetto a quella garantita ai familiari che pure possono usufruirne, con l’intento di rimuovere gli ostacoli che rischiano di impedire alla persona con disabilità di lavorare in condizioni di pari dignità, benessere e partecipazione alla vita sociale.

Ne consegue che i permessi ex art. 33, comma 6, della legge n. 104 del 1992, non possono essere ridotti a meri strumenti di cura o a un obbligo di permanenza in casa. Essi sono funzionali anche a ristabilire un equilibrio fisico e psicologico, indispensabile per l’effettiva inclusione sociale e lavorativa della persona con disabilità. L’allontanamento temporaneo dal lavoro, se funzionale a questo obiettivo, rientra pienamente nello spirito della norma, che mira a rendere sostenibile la permanenza della persona con disabilità nel contesto occupazionale e a favorirne una «più agevole integrazione familiare e sociale». Tale lettura, ha osservato il Tribunale, elimina alla radice ogni sospetto di interpretazioni restrittive o irragionevoli dell’art. 33, commi 3 e 6, della legge n. 104 del 1992.

Quanto al controllo investigativo, il giudice lo ha ritenuto illegittimo. La società non aveva indicato, nel momento in cui assegnava l’incarico all’agenzia investigativa, indizi concreti di abuso da parte del lavoratore. L’indagine, che non si fondava su alcun sospetto, aveva avuto natura esplorativa, estendendosi persino oltre l’orario lavorativo e invadendo la vita privata del lavoratore. In linea con la giurisprudenza della Cassazione, le prove così raccolte non possono essere utilizzate, perché acquisite in violazione dei diritti fondamentali, della dignità e della riservatezza del lavoratore.

In ogni caso, il giudice veneziano ha esaminato anche i fatti contestati, evidenziando che non vi era comunque nessuna prova del fatto che il lavoratore svolgeva attività lavorativa presso l’agenzia assicurativa. Infatti, il titolare dell’agenzia, amico e vicino di casa del lavoratore, gli aveva lasciato le chiavi per poterci andare ogni volta che desiderasse, o avesse necessità di usare il computer e la stampante.

Esclusa dunque la legittimità del licenziamento, il Tribunale lo ha qualificato come discriminatorio ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 104 del 1992, che vieta trattamenti sfavorevoli nei confronti di lavoratori con disabilità che fruiscono dei benefici previsti dalla normativa. Da qui l’annullamento del licenziamento, con ordine di reintegrazione del dipendente, pagamento delle retribuzioni arretrate e rimborso delle spese legali.

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