Autorità:
Tribunale
Data:
5 giungo 2024
Numero:
245
Regione:
Marche
Una lavoratrice impugnava il licenziamento per giusta causa irrogato dalla cooperativa datrice di lavoro per presunto abuso dei permessi ex art. 33 L. n. 104/1992. L’azienda contestava che nel corso di otto giornate, la dipendente avesse fruito di tre ore di permesso ciascuna, trascorrendole per la maggior parte (e in tre casi interamente) all’interno della propria abitazione o in altri luoghi, anziché presso il domicilio della madre disabile. Il provvedimento era basato su un’indagine investigativa privata. La lavoratrice contestava l’accusa, sostenendo di aver svolto commissioni per la madre e che l’assistenza poteva essere prestata con modalità flessibili, non necessariamente coincidenti con l’orario di lavoro. Il Tribunale ha accolto il ricorso, evidenziando che la normativa non impone un’assistenza continuativa durante l’intero periodo di permesso, purché vi sia un collegamento funzionale tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al familiare disabile. Ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione penale (Cass. 4106/2016), secondo cui i permessi possono servire anche a garantire l’equilibrio di vita del lavoratore caregiver. Inoltre, il controllo investigativo risultava inadeguato a dimostrare l’assenza totale di attività assistenziale, in quanto limitato alle sole ore corrispondenti al turno lavorativo. La Corte ha infine ritenuto che il licenziamento fosse sproporzionato, in assenza di una condotta fraudolenta palese, escludendo altresì la sussistenza di un danno risarcibile per violazione della privacy, poiché le informazioni erano state trattate da soggetti legittimati. Il Tribunale ha annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto.