Tribunale di Roma, sez. lav., sent. 28 maggio 2024, n. 6230 

Autorità:
Tribunale

Data:
28 maggio 2024

Numero:
6230

Regione:
Lazio

La ricorrente, in quanto appartenente alle categorie protette, ha lavorato in modalità smart working nel corso dell’emergenza sanitaria, per via delle sue condizioni di salute. Con la cessazione dell’emergenza, le veniva revocata la possibilità di lavoro agile, nonostante la documentazione medica ne suggerisse la prosecuzione. In seguito a reiterate richieste, rifiutate dal datore, e a episodi di malessere, ella lamentava condotta discriminatoria e chiedeva il riconoscimento del diritto allo smart working e il risarcimento del danno non patrimoniale. 

Il Tribunale ha preliminarmente riconosciuto che la lavoratrice versava in una condizione di disabilità rilevante ai sensi del D.lgs. 216/2003 e della Direttiva 2000/78/CE, considerato il quadro patologico psico-fisico e la certificata appartenenza alle categorie protette. Tuttavia, pur ribadendo il principio per cui il datore è obbligato ad adottare accomodamenti ragionevoli per garantire la permanenza lavorativa del disabile, ha dato rilevanza decisiva all’esito della consulenza tecnica d’ufficio. Il CTU ha accertato l’assenza di un nesso causale tra il diniego dello smart working e un aggravamento della condizione di salute, trattandosi di patologie endogene preesistenti non influenzate dalla modalità lavorativa. Inoltre, le mansioni assegnate alla lavoratrice erano compatibili con la sua condizione e non implicavano contatto con il pubblico. 

Il Tribunale ha rigettato il ricorso, escludendo la sussistenza di un comportamento discriminatorio, diretto o indiretto, da parte del datore di lavoro. 

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