Autorità:
Tribunale
Data:
7 ottobre 2024
Numero:
1135
Regione:
Sicilia
Una lavoratrice affetta da gravi patologie oncologiche e croniche, riconosciuta come portatrice di handicap in situazione di gravità ex art. 3, co. 3, Legge n. 104/1992, ha proposto ricorso ex art. 700 c.p.c. contro la decisione del datore di lavoro di limitarle lo smart working a 10 giorni mensili, nonostante le condizioni cliniche consigliassero lo svolgimento continuativo della prestazione da remoto. La lavoratrice lamentava discriminazione indiretta per ragioni di salute e chiedeva, quale accomodamento ragionevole, di lavorare integralmente in modalità agile.
Il Tribunale ha inquadrato la controversia nella disciplina antidiscriminatoria europea (Direttiva 2000/78/CE) e nazionale (d.lgs. n. 216/2003), richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Cassazione. Ha affermato che, ai sensi della nozione autonoma di “handicap”, anche patologie gravi e durature possono determinare il diritto a misure di accomodamento ragionevole. È stato accertato, in via sommaria, che la ricorrente rientrasse in tale definizione. Lo smart working è stato ritenuto un accomodamento ragionevole, non sproporzionato né irragionevole, anche in considerazione del fatto che la datrice già ne consente l’uso parziale ad altri dipendenti. La mancata previsione di tale misura per la ricorrente integra una discriminazione indiretta.
Accogliendo la domanda cautelare, il Tribunale ha ordinato al datore di lavoro di consentire alla lavoratrice lo svolgimento integrale della prestazione in regime di smart working, rilevando la sussistenza sia del fumus boni iuris sia del periculum in mora, desunto dal rischio per la salute.