Autorità:
Corte Europea
Data:
11 settembre 2025
Numero:
5
Regione:
–
L’11 settembre 2025, oltre alla sentenza Bervidi, di cui si è dato conto nella newsletter nn. 8-9, è stata pubblicata un’altra importante decisione della Corte di giustizia (CGUE) in materia di diritti delle persone con disabilità. Si tratta della sentenza Pauni sorta a seguito del rinvio pregiudiziale del Tribunale di Ravenna (ord. 4 gennaio 2024), con riferimento all’interpretazione della direttiva 2000/78/CE che, come noto, stabilisce un quadro generale di tutela contro diverse forme di discriminazione, tra cui quelle fondate sulla disabilità, nel mondo lavorativo.
Di fronte al Tribunale di Ravenna, una lavoratrice con disabilità aveva chiamato in giudizio il suo datore di lavoro per contestare la legittimità del licenziamento intervenuto a seguito della scadenza del periodo di comporto pari a 180 giorni all’anno. Il datore di lavoro aveva in effetti agito secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro rilevante (CCNL), che non introduce alcun trattamento differenziato tra i lavoratori con e senza disabilità, prescrivendo soltanto che, al termine di tale periodo di 180 giorni, il lavoratore possa fruire, su sua richiesta, di un’ulteriore aspettativa, non retribuita, di 120 giorni. Il giudice italiano ha quindi chiesto alla Corte di giustizia di esprimersi in merito al carattere discriminatorio delle disposizioni del CCNL applicabili al caso concreto.
La sentenza della CGUE non è di facile lettura e presenta un certo margine di ambiguità. Da una parte, la CGUE ritiene ovviamente legittima la finalità perseguita dalla normativa italiana che prevede che i datori di lavoro abbiano alle loro dipendenze lavoratori idonei ad esercitare le mansioni alle quali sono stati adibiti. In questa prospettiva, dunque, ben possono i datori di lavoro porre fine al rapporto di lavoro qualora il lavoratore non sia più in grado di fornire la prestazione per cui era stato assunto. Questa finalità non renderebbe, secondo la CGUE, necessariamente discriminatoria l’assenza di un periodo di comporto differenziato. Allo stesso tempo, però, la CGUE segnala che il lavoratore con disabilità corre in effetti un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia e quindi un periodo di comporto non differenziato può determinare una discriminazione indiretta nei confronti del lavoratore con disabilità.
Tutto ciò premesso, la CGUE rimette però al giudice nazionale il compito di verificare se l’assenza di un periodo di comporto differenziato per il lavoratore disabile non sia eccessivo rispetto all’interesse, per il datore di lavoro, di avere a disposizione un lavoratore in grado di svolgere l’attività professionale. Come potrà allora il giudice compiere questa valutazione?
Secondo la CGUE, dovrà tenere presente il contesto all’interno del quale la normativa si colloca, nonché l’esistenza di disposizioni specifiche volte a compensare gli svantaggi derivanti dalla disabilità. In particolare, il giudice deve chiedersi se l’assenza di una differenziazione sul periodo di comporto possa essere compensata da altre soluzioni ragionevoli adottate dal datore nei confronti del lavoratore con disabilità. In un passaggio che merita di essere valorizzato, la CGUE infatti osserva che sarebbe sicuramente contraria al diritto europeo un’interpretazione del CCNL che consentisse al datore di licenziare senza avere prima sperimentato l’attuazione di soluzioni ragionevoli.
In questa prospettiva, la CGUE ritiene che sicuramente non costituisca una «soluzione ragionevole» quanto sancito dall’art. 174 del CCNL applicabile al caso concreto, in virtù del quale un lavoratore, a causa della propria malattia. può richiedere un periodo non retribuito di conservazione del posto di lavoro di 120 giorni, ulteriore rispetto a quello di 180 giorni. Tale disposizione, infatti, è già prevista a livello nazionale e dunque non corrisponde ad uno specifico provvedimento adottato dal datore di lavoro. Ma, soprattutto, si tratta di una previsione che non prende in particolare considerazione il fattore della disabilità.
In definitiva, la pronuncia della CGUE appare molto più timida rispetto alla giurisprudenza nazionale, di cui abbiamo dato ampiamente conto nei report 2023 e 2024 (Cass. civ. n. 24052/2024, n. 11731/2024, n. 15723/2024, n. 14316/2024, n. 14402/2024, n. 17629/2023, n. 9095/2023), che qualifica ormai pacificamente come discriminatorie previsioni che non distinguano, quanto alla durata del periodo di comporto, la condizione delle persone con disabilità.