Autorità:
Corte costituzionale
Data:
18 luglio 2025
Numero:
111
Regione:
Sicilia
Lo scorso 18 luglio, con la sentenza n. 111 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966 (Norme sui licenziamenti individuali), nella parte in cui prevede che, anche per il lavoratore licenziato che si trovi in una condizione di incapacità, pur temporanea, di intendere e volere, si applica il termine breve (60 giorni dalla ricezione della comunicazione) di impugnazione del licenziamento stesso.
Per comprendere esattamente i termini della questione di legittimità sollevata dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, è necessario ricordare la disciplina normativa.
L’art. 6 citato prevede due termini per contestare il licenziamento: il primo, di 60 giorni, decorre dalla comunicazione al lavoratore del licenziamento, e in questo caso l’impugnazione, per evitare la decadenza, può avvenire anche in forma extragiudiziale. A ciò si aggiunge un secondo termine, di altri 180 giorni, entro il quale lo stesso lavoratore deve dare seguito agli intendimenti manifestati ricorrendo in giudizio.
La Corte costituzionale ha osservato che l’onere della previa impugnazione entro il termine breve può concretizzarsi in un ostacolo alla tutela giurisdizionale nei casi in cui, al momento della comunicazione del licenziamento o durante lo stesso decorso del periodo di 60 giorni, il lavoratore non sia in grado, per la propria condizione, di comprendere il significato dell’atto datoriale e quindi di determinarsi rispetto alle iniziative da assumere (nel caso di specie si trattava di una lavoratrice in stato depressivo talmente grave da rendere necessario un trattamento sanitario obbligatorio. Soltanto dopo le cure la lavoratrice aveva riacquistato pienezza delle facoltà cognitive e intellettive).
In simili circostanze, la norma censurata si rivela, secondo la Corte, manifestamente irragionevole e in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, nonché lesiva del diritto al lavoro (art. 4, primo comma, Cost.), della sua tutela (art. 35, primo comma, Cost.) e del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, primo comma, Cost.).
Per ripristinare la legalità costituzionale, la soluzione concretamente individuata nella sentenza è stata quella di far valere, nei confronti delle persone che versino in simili situazioni, un termine per ricorrere in giudizio pari a 240 giorni, ovvero il risultato della somma tra il termine breve di 60 giorni, non più applicabile, e quello finale di 180 giorni. In questo modo, conclude la Corte, da un lato si evita al lavoratore colpito da incapacità naturale di manifestare nell’immediato la volontà di reagire al licenziamento, dall’altro, anche nell’interesse del datore di lavoro, restano comunque garantite le esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di celerità che contraddistinguono la disciplina.