Autorità:
Corte costituzionale
Data:
3 luglio 2025
Numero:
94
Regione:
Toscana
Con la sentenza n. 94, del 9 luglio 2025, la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla questione sollevata dalla Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 3 e 38, comma 2, Cost., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui non esclude, dal divieto di applicazione delle disposizioni sull’integrazione al minimo di tutti i trattamenti pensionistici, l’assegno ordinario d’invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo. Si tratta, occorre dirlo, di una decisione molto complessa che concerne la tutela pensionistica per l’invalidità, collegata a uno stato di bisogno del tutto peculiare, che va segnalata soprattutto perché in essa la Corte ricorda che in questi casi il principio di solidarietà deve trovare massima valorizzazione. Alla luce di tali principi, la Corte ha ritenuto che il divieto di integrazione al minimo, previsto dalla “riforma Dini” per tutti i trattamenti pensionistici soggetti integralmente al regime di computo contributivo, non debba operare con riguardo all’assegno ordinario d’invalidità spettante al lavoratore che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un terzo la sua capacità lavorativa confacente alle proprie attitudini. Infatti, tale provvidenza economica, sin dalla sua introduzione con l. n. 222 del 1984 – quindi prima del passaggio dal sistema pensionistico retributivo a quello contributivo – è sempre stata caratterizzata, in quanto volta a fronteggiare una condizione meritevole di particolare tutela, da un regime più favorevole rispetto a tutti gli altri trattamenti pensionistici, prevedendo un differenziato sistema di integrazione al minimo. Con la riforma del 1995, che ha sancito il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo, è stato invece previsto un diverso sistema di computo dell’assegno ordinario di invalidità e l’assoggettamento anche di tale trattamento al divieto di integrazione al minimo, se calcolato col sistema interamente contributivo. Prima della pronuncia della Corte costituzionale, i lavoratori iscritti dal 1996 si vedevano dunque calcolare l’assegno ordinario di invalidità soltanto sulla base dei contributi versati, senza la previsione di alcuna integrazione al minimo. La Corte, ricordando che la ratio dell’assegno ordinario di invalidità è quella di sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, per via dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e, quindi, la possibilità di accumulare contributi adeguati, ha evidenziato come un lavoratore, uscito anticipatamente dal mercato del lavoro, senza la previsione di un’integrazione al minimo potrebbe essere beneficiario di un assegno di invalidità di importo troppo modesto che lo esporrebbe al rischio di rimanere, anche per lungo tempo, privo di qualsiasi ulteriore supporto economico. I giudici costituzionali hanno quindi considerato tale conseguenza irragionevole, prevedendo che d’ora in poi anche l’assegno di invalidità liquidato nel sistema contributivo sia integrato al minimo qualora non raggiunga una determinata soglia (euro 603,40 per l’anno corrente). Per evitare tuttavia un ingente e improvviso aggravio a carico della finanza pubblica per il recupero degli arretrati, la Corte ha deciso di far decorrere gli effetti della decisione dal giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza, con la conseguenza che non spetteranno dunque arretrati.