Cass. civ., sez. lav., ord. 3 maggio 2024, n. 11999

Autorità:
Corte di Cassazione

Data:
3 maggio 2024

Numero:
11999

Regione:
Lazio

Un dipendente di un istituto di credito, beneficiario dei permessi ex art. 33, comma 3, L. 104/1992 per assistere la madre invalida, veniva licenziato per giusta causa poiché, secondo l’azienda, durante i giorni di assenza dal lavoro si sarebbe dedicato ad attività estranee all’assistenza. Il lavoratore contestava l’addebito sostenendo che la madre era stata trasferita presso il proprio domicilio e che le attività svolte non escludessero la prestazione assistenziale. La Corte d’Appello di Roma, riformando la decisione del Tribunale, ha ritenuto legittimo il licenziamento, evidenziando come le condotte accertate, ancorché parzialmente compatibili con l’assistenza, non giustificassero l’uso del permesso. Il tempo dedicato alla madre risultava infatti esiguo e incompatibile con la finalità dei benefici concessi. La Corte ha ribadito che il permesso deve essere funzionalmente collegato all’assistenza diretta, globale e continuativa, e che l’utilizzo per finalità differenti costituisce abuso del diritto e violazione dei principi di correttezza e buona fede. È stato inoltre osservato che l’onere probatorio relativo alla funzionalità delle attività svolte rispetto all’assistenza grava sul lavoratore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando l’adeguatezza dell’accertamento in fatto svolto dalla Corte territoriale, il corretto riparto dell’onere probatorio e la proporzionalità della sanzione espulsiva. Ha ritenuto insussistenti i vizi di motivazione e le violazioni normative dedotte.