TAR Lombardia, sez. V, sent. 21 novembre 2024, n. 3291

Autorità:
TAR

Data:
21 novembre 2024

Numero:
3291

Regione:
Lombardia

Oggetto del sindacato del TAR è una modalità di compartecipazione alla spesa che prescindeva dal DPCM n. 159 del 2013 e calcolata non sulla base del servizio in cui la persona con disabilità era inserita (Centro Socio Sanitario), ma di quello ritenuto maggiormente idoneo dall’ente pubblico (Residenza Sanitaria Disabili). Ribadita la libertà di scelta nell’accesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie (l.r. 3/2008), viene evidenziato che «le amministrazioni preposte alla gestione e alla erogazione dei servizi sanitari e socio-sanitari non possano, con propri provvedimenti, né coartare la decisione dell’assistito né subordinare la presa in carico all’indicazione di una particolare struttura». Il necessario bilanciamento tra la libertà di scelta e le questioni di bilancio delle Amministrazioni, deve essere risolto con la previsione dell’ammissibilità dell’intervento finanziario pubblico solo con riferimento agli operatori accreditati, che sono così vincolati agli standard qualitativi e al sistema tariffario regionale.
Nel caso di specie, posto che la persona con disabilità è inserita in struttura di «operatore accreditato e a contratto con il SSN, [- e che, peraltro, tale inserimento era stato previsto dal progetto individuale della persona, mai contestato dal Comune -] non è possibile ostacolare, attraverso la prospettazione di una minore compartecipazione comunale alla retta, la decisione della ricorrente di iscriversi in tale struttura. Con riferimento alla definizione della modalità di compartecipazione, richiamata la normativa e la giurisprudenza di riferimento, viene ribadito che non è possibile in alcun modo prescindere dal DPCM n. 159 del 2013. Le provvidenze economiche percepite dalla persona con disabilità non devono essere computate poiché non costituiscono reddito. Secondo il TAR «Non hanno pregio le difese dell’ente comunale, secondo cui, ove la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento non venissero utilizzate per pagare la retta dell’istituto di ricovero, la ricorrente conseguirebbe un ingiustificato arricchimento, [..] questi emolumenti non costituiscono incrementi di ricchezza, bensì poste compensative della situazione di svantaggio legata alla disabilità, sicché il loro incameramento non può financo essere considerato un “arricchimento”. Tantomeno, esso può dirsi “ingiustificato”, visto che il diritto agli emolumenti in discorso ha titolo nella legge e prescinde dal loro successivo impiego; né le modalità di impiego possono essere sindacate dall’amministrazione comunale, perché ciò sfocerebbe in una grave intromissione nell’autonomia e nella libertà della persona».

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