Corte Costituzionale, sent. 30 gennaio 2025, n. 25 

Autorità:
Corte Costituzionale

Data:
30 gennaio 2025

Numero:
25

Regione:
Emilia Romagna

Con la sentenza n. 25 del 2025, la Corte è tornata a riflettere sulla legge n. 91 del 1992 che regola la concessione della cittadinanza, evidenziando la presenza di un’altra violazione nella sfera dei diritti delle persone straniere con disabilità. Infatti, dopo aver già dichiarato con la sentenza n. 258 del 2017 l’illegittimità costituzionale della norma che non prevedeva che tali persone siano esonerate dal giuramento nei casi in cui esse sono materialmente impossibilitate a pronunciarlo, la Corte, con la sentenza in commento, si è pronunciata sull’incostituzionalità dell’art. 9.1 della stessa legge.  Quest’ultima disposizione, introdotta dal decreto-legge n. 113 del 2018, imponeva l’obbligo di certificare la conoscenza dell’italiano a livello B1 per tutti i richiedenti la cittadinanza per naturalizzazione o matrimonio, senza eccezione per chi, in ragione di una disabilità, non potesse documentatamente apprenderla. Nel caso all’origine della pronuncia, una cittadina straniera, con gravi disabilità e significativi deficit cognitivi, si era vista respingere la richiesta di cittadinanza dalla Prefettura di Reggio Emilia per inadeguata conoscenza della lingua italiana, e ciò nonostante avesse attestato le proprie difficoltà di apprendimento dovute sia all’età, sia alle sue condizioni cognitive. Si era di conseguenza rivolto al TAR, ritenendo illegittima la decisione della Prefettura. A questo punto, il TAR aveva a sua volta interpellato la Corte costituzionale, sospettando che la previsione di legge fosse incostituzionale nella parte in cui non considerava le peculiari condizioni cognitive di quanti richiedono la cittadinanza e che rendono impossibile l’apprendimento della lingua.

La Corte ha condiviso la prospettazione del TAR emiliano e ha così affermato che la disposizione viola il principio di uguaglianza, sia nella sua accezione formale che sostanziale. Da un lato, infatti, la disposizione impone indistintamente lo stesso requisito a tutti i destinatari, senza considerare le oggettive difficoltà che comporta per chi, in ragione di una disabilità, non può adempiervi. Dall’altro, lungi dall’abbattere una barriera, crea essa stessa un ostacolo insuperabile, determinando, per gli effetti che ne derivano, una discriminazione indiretta che può sfociare in «una forma di emarginazione sociale». Inoltre, la Corte ha evidenziato la violazione del principio “ad impossibilia nemo tenetur”: chiedere a chi è oggettivamente impossibilitato ad acquisire il requisito linguistico di adempiere a tale obbligo significa imporre un onere inesigibile. Risulta, pertanto, irragionevole l’assenza di una disciplina differenziata, che, in tali circostanze, preveda la dispensa dalla prova di conoscenza della lingua italiana. La Corte, dunque, ci ricorda ancora una volta che la valutazione del grado di inclusione della persona straniera in condizione di svantaggio in ragione di una disabilità non può prescindere dal suo diritto alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono la piena partecipazione alla vita sociale e comunitaria. 

Documenti