TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, ord. 30 maggio 2024, n. 145

Autorità:
TAR Emilia Romagna

Data:
30 maggio 2024

Numero:
145

Regione:
Emilia Romagna

Nel presente giudizio si controverteva della legittimità del provvedimento con cui la Prefettura di Reggio Emilia aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana ad una signora con disabilità per mancanza di conoscenza adeguata della lingua italiana. Il TAR ha sollevato una questione di costituzionalità avente ad oggetto l’art. 9.1, della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, per contrasto, anzitutto, con l’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, in una prospettiva sia personalistica che pluralistica. Ed infatti non permettere ad un soggetto invalido e affetto da deficit cognitivo certificato l’acquisizione di un diritto fondamentale, qual è lo status di cittadino, dal momento che non è in grado di apprendere la lingua italiana (non per mancanza di volontà, ma per oggettiva ed insuperabile incapacità dovuta alle condizioni psicofisiche) significherebbe, in definitiva, non “garantire” tale diritto, escludendo il soggetto invalido e portatore di deficit cognitivo dall’inserimento completo ed effettivo nella collettività alla quale oramai appartiene, solo a causa dell’impedimento determinato da condizioni psicofisiche. Ne deriverebbe, evidentemente, la lesione della dignità e del valore della persona che l’art. 2 della Costituzione, con il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili, «sia come singolo, sia nelle formazioni ove si svolge la sua personalità», pone al vertice dell’ordinamento (cfr. Corte Costituzionale, 8 novembre – 7 dicembre 2017 n. 258). Secondo il TAR, la preclusione di acquisire la cittadinanza italiana per il solo fatto che il soggetto invalido e portatore del deficit cognitivo non sia in grado di apprendere la lingua, così come risultante dall’attuale portata dell’art. 9.1 della Legge 5 febbraio 1992, n. 91, si pone in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione e con il principio di uguaglianza, atteso che l’applicazione della citata disposizione normativa è idonea a determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti “sani”, in quanto non affetti da alcun disturbo cognitivo e invalidità, e soggetti “non sani”, ai quali, proprio a causa di una condizione psicofisica di natura personale (deficit cognitivo che impedisce ab imis l’apprendimento della lingua), sarebbe così preclusa l’acquisizione dello status civitatis. Ad avviso del Collegio, inoltre, l’attuale formulazione dell’art. 9.1 della Legge 5 febbraio 1992 n. 91 si pone in contrasto anche con il quadro normativo sovranazionale, cui l’ordinamento dello Stato è tenuto a conformarsi a mente dell’art. 10 della Costituzione e, in particolare, con la Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia in data 30 marzo 2007 e ratificata con la Legge 3 marzo 2009, n. 18.

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